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– Non ti posso dare ciò che io stesso non posseggo – replicò infine, e gli parve che quelle parole rimanessero sospese fra loro come massi per la loro inadeguatezza, cosa che lo indusse a cercare di fare di meglio. – No, non desiderare questo. Ho un'idea migliore: desidera di essere te stessa, fino in fondo. Scopri ciò in cui sei più abile, poi coltiva e sviluppa questa tua capacità, imparando al tempo stesso a rappezzare le tue debolezze, perché non c'è tempo per indulgere in esse. Guarda Nicol…

– È così bella – sospirò Taura.

– … oppure guarda il Capitano Thorne e poi dimmi cosa significa «normale» e perché dovrebbe importarti di esserlo. Oppure guarda me, se preferisci. Dovrei uccidermi cercando di sopraffare uomini che pesano il doppio di me in un corpo a corpo, o non è forse meglio che sposti la lotta su un terreno dove la forza fisica è inutile perché lo scontro non diventa mai tanto ravvicinato da permetterne l'impiego? Io non ho tempo da perdere, e non lo hai neppure tu.

– Sai quanto me ne resti? – chiese improvvisamente Taura.

– Ah… tu lo sai? – controbatté cautamente Miles.

– Sono l'ultima superstite del mio gruppo, come potrei non saperlo? – replicò lei, sollevando il mento in un atteggiamento di sfida.

– Allora non desiderare di essere normale – esclamò Miles con passione, – perché otterresti soltanto di sprecare il tuo tempo prezioso con inutile frustrazione. Desidera di essere grande, perché quella è una cosa che avrai almeno la possibilità di ottenere. Desidera di essere grande in ciò che sei, qualsiasi cosa sia. Un grande soldato, un grande sergente, perfino un grande furiere se dovesse essere questa la tua vocazione! O magari una grande musicista come Nicol… pensa come sarebbe orribile se lei sprecasse il suo talento tentando di essere semplicemente normale.

D'un tratto interruppe la sua arringa con un senso d'imbarazzo, pensando che predicare era sempre più facile che mettere in pratica…

– Suppongo che per me sia inutile desiderare di essere bella come il Sergente Anderson – sospirò Taura, osservandosi gli artigli smaltati.

– Sarebbe inutile per te cercare di essere bella come chiunque che non sia tu stessa – replicò Miles. – Sii bella come Taura, perché quella è una cosa che puoi fare e che puoi fare superbamente bene. – Si accorse che le stava stringendo le mani e lasciò scorrere un dito lungo un artiglio iridescente. – Laureen sembra però aver afferrato i principi basilari per essere bella e faresti bene a seguire il suo esempio.

– Ammiraglio – scandì lentamente Taura, senza lasciar andare le sue mani, – sei già il mio comandante a tutti gli effetti? Il Sergente Anderson ha detto qualcosa in merito a dei test di orientamento e d'introduzione e a proposito di un giuramento…

– Sì, sono tutte cose a cui provvederemo una volta che ci saremo ricongiunti con la flotta, ma fino ad allora tecnicamente tu sarai una nostra ospite.

Una certa scintilla stava cominciando a riaffiorare negli occhi dorati della ragazza.

– In questo caso… fino ad allora non infrangeresti nessuna regola dendarii se mi mostrassi di nuovo quanto sono umana, giusto? Soltanto un'altra volta.

Miles pensò che l'impulso che lo stava assalendo doveva essere simile a quello che un tempo spingeva gli uomini a scalare pareti verticali di roccia senza una cintura antigravitazionale o a gettarsi da aerei di vecchio tipo senza nulla che impedisse loro di spappolarsi al suolo tranne un grande pezzo di seta ripiegato, e sentì insorgere dentro di sé lo stesso fascino, la stessa risata che sfidava la morte.

– Lentamente? – replicò, con voce un po' soffocata. – Perché questa volta non lo facciamo nella maniera giusta, concedendoci un po' di conversazione, un sorso di vino e un po' di musica? Senza gli uomini di Ryoval che si aggirano ai piani superiori o la gelida roccia sotto il mio…

Adesso gli occhi di lei erano grandi laghi d'oro fuso.

– Sei stato tu a dire che ti piaceva esercitarti in ciò in cui sei più abile.

Prima di allora Miles non si era mai reso conto di quanto fosse suscettibile all'adulazione da parte delle donne alte, una debolezza da cui avrebbe dovuto guardarsi… in futuro.

Si ritirarono insieme nella sua cabina e si esercitarono assiduamente per una buona metà del viaggio fino ad Escobar.

PARTE TERZA

– Che ne è stato di quella ragazza lupo? – chiese Illyan, dopo una lunga pausa di silenzio.

– Ah, sono lieto di dire che se la sta cavando bene e che è stata da poco promossa sergente. Il medico della mia flotta dendarii le sta somministrando dei medicinali per cercare di rallentare un po' il suo metabolismo, anche se è una cosa alquanto sperimentale.

– Allora riuscirete ad allungare la durata della sua vita?

– Ci piacerebbe saperlo – replicò Miles, scrollando le spalle. – Forse. Comunque lo speriamo.

– Bene – commentò Illyan, cambiando argomento, – ora ci rimane soltanto la questione di Dagoola, riguardo alla quale ti ricordo che il solo rapporto che ho avuto da te prima che intervenissero le altre autorità è stato quello eccessivamente succinto che hai mandato da Mahata Solaris.

– Quello avrebbe dovuto essere soltanto un rapporto preliminare, perché pensavo di riuscire a tornare a fare rapporto prima di così.

– Questo non è un problema… o almeno non lo è per il Conte Vorvolk. Parlami di Dagoola, Miles: sputa fuori ogni cosa e dopo potrai dormire un poco.

– È cominciato tutto in maniera così semplice – iniziò Miles, accigliandosi, – quasi come quel lavoro sul Gruppo Jackson… poi le cose sono andate storte, molto storte…

– Allora inizia dal principio.

– Il principio. D'accordo…

I confini dell'infinito

Com'è possibile che sia morto e sia finito all'inferno senza accorgermi della transizione?

L'opalescente cupola di forza sovrastava un paesaggio surreale e alieno, immobilizzato per un momento agli occhi di Miles dal proprio senso di disorientamento e di sgomento. La cupola descriveva un cerchio perfetto di mezzo chilometro di diametro e lui si trovava appena oltre il suo limitare, là dove la lucente superficie concava penetrava nel suolo di terra battuta e scompariva; con l'immaginazione lui ne seguì l'arco sepolto sotto i suoi piedi fino al punto in cui emergeva di nuovo a completare la sfera. Era come essere intrappolato dentro un guscio d'uovo impossibile a rompersi, il cui interno sembrava una scena di un antico limbo.

Uomini e donne dall'aria avvilita sedevano, stavano in piedi o per lo più giacevano sdraiati, da soli o in gruppetti sparsi in maniera irregolare attraverso l'intera ampiezza della cupola e Miles cercò invano di notare in loro qualche residuo di ordine o di raggruppamenti militari… gli abitanti della cupola sembravano spruzzati qua e là come un liquido sparso al suo interno.

Forse era morto poco prima, al suo ingresso nel campo di prigionia, forse i suoi catturatori lo avevano ucciso con l'inganno, come quegli antichi soldati della Terra che attiravano le loro vittime sotto docce avvelenate, distraendole e blandendo i loro sospetti consegnando a ciascuna un pezzo di sapone, fino a quando la comprensione ultima esplodeva in loro insieme ad una nube soffocante. Forse l'annientamento del suo corpo era stato rapido, al punto che i neuroni non avevano avuto il tempo di trasportare l'informazione fino al cervello… altrimenti, perché mai tanti antichi miti avrebbero concordato nell'affermare che l'inferno era un luogo circolare?

Dagoola IV, Campo di Prigionia di Massima Sicurezza N°3… era dunque questo? Questo piatto spoglio? Miles aveva supposto vagamente di trovare alloggiamenti, guardie che marciavano, un conteggio quotidiano dei prigionieri, gallerie scavate in segreto e comitati di fuga.

Adesso si rese conto che era la cupola a rendere tutto tanto semplice. Infatti che bisogno c'era di alloggiamenti per riparare i prigionieri dagli elementi? Ci pensava già la cupola. E a che sarebbero servite le guardie visto che la cupola era generata dall'esterno e che nulla che si trovasse all'interno poteva aprirvi un varco? Di conseguenza non servivano le guardie e il conteggio quotidiano dei prigionieri, le gallerie erano inutili e i comitati di fuga un'assurdità. Tutto a causa della cupola.

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