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Vallerie si portò la mano alle labbra, con aria dubbiosa. «Mi è parso… molto gradevole, quando gli ho parlato. Date le circostanze, naturalmente, e di certo un uomo coraggioso.»

«Ah, proprio quella è la genialità e la meraviglia di quell’uomo» esclamò Miles e poi decise di abbassare un tantino il tono. «Il carisma. Di certo i cetagandani, se sono stati loro, intendevano farne qualcosa di straordinario. È un genio militare, sa?»

«Aspetti un attimo» lo interruppe. «Lei dice che è un clone vero, non una semplice copia esteriore? E allora deve essere ancor più giovane di lei.»

«Sì. La sua crescita e la sua istruzione sono state accelerate artificialmente, fino ai limiti consentiti dal processo, pare. Ma lei dove lo ha visto?»

«Qui a Londra» rispose e fu sul punto di aggiungere altro, ma si trattenne. «Ma lei dice che Barrayar sta cercando di ucciderlo?» Si scostò impercettibilmente. «Credo che sia meglio che glielo lasci rintracciare da solo.»

«No, adesso non più» rispose Miles con un risatina secca, «adesso non vogliamo ucciderlo, ma ci limitiamo a seguire le sue tracce. E negli ultimi tempi lo avevamo perso di vista, cosa che rende molto nervosi gli addetti alla mia sicurezza. È chiaro che all’inizio era stato creato per sostituirmi, per un complotto che aveva mio padre come bersaglio ultimo. Ma sette anni fa è sfuggito ai suoi creatori-secondini e ha cominciato a lavorare in proprio. Noi… Barrayar, intendo, adesso ne sappiamo troppo sul suo conto perché cerchi di nuovo di sostituirsi a me.»

«Però potrebbe farlo» disse lei osservandolo attentamente. «Potrebbe davvero.»

«Forse sì» rispose Miles con un sorriso cupo. «Ma se mai dovessimo trovarci insieme nella stessa stanza, si accorgerebbe che io sono più alto di almeno due centimetri. Ho avuto una crescita tardiva, dovuta alle cure di ormoni…» tutta quella panzana doveva finire in fretta… ma continuò a blaterare.

«Però i cetagandani stanno sempre cercando di ucciderlo. Fino ad ora questa è la prova migliore che abbiamo a conferma che Naismith sia una loro creazione. È chiaro che lui deve sapere molte cose che a noi sono oscure, e ci piacerebbe moltissimo averlo nelle nostre mani.» E le rivolse un invitante sorriso canino, orrendamente falso. La giornalista si ritrasse di qualche altro centimetro.

Miles strinse i pugni, furente. «La cosa più irritante di quell’uomo è la sua sfrontatezza. Avrebbe potuto almeno scegliersi un altro nome, e invece ostenta il mio. Forse ci si è abituato mentre lo addestravano a diventare la mia copia. Parla con accento betano e ha preso il cognome betano da signorina di mia madre, come si usa su Beta e lo sa perché?»

Già, perché, perché…

Lei scosse il capo e lo fissò affascinata e inorridita.

«Perché secondo la legge betana sui cloni, lui sarebbe legalmente ed effettivamente mio fratello, ecco perché! Sta tentando di conquistarsi una falsa legittimità e io non sono sicuro di sapere perché. Forse questo è indizio di una sua debolezza. Deve avere una debolezza, da qualche parte, una falla nell’armatura… a parte la pazzia ereditaria, naturalmente…» si interruppe ansimando. Sperando che la donna pensasse che fosse per la rabbia repressa e non per il terrore represso.

Grazie a Dio, l’ambasciatore gli stava facendo cenno dall’altra parte della stanza; lui e il gruppo barrayarano erano pronti ad andarsene. «La prego di scusarmi, signora» disse alzandosi, «devo andare. Ma, ah… se dovesse incontrare di nuovo Naismith, lo considererei un grande favore se si mettesse in contatto con me all’ambasciata barrayarana.»

Perché? chiesero silenziosamente le labbra di lei, mentre si alzava guardinga. Miles si chinò sulla sua mano, eseguì un perfetto dietro-front e si allontanò.

Dovette fare uno sforzo per non mettersi a correre giù dagli scalini del palais di Londra per raggiungere l’ambasciatore. Un genio, era un fottuto genio. Perché in tutti quegli anni non gli era mai venuta in mente quella storia come copertura? Il capo della Sicurezza Imperiale Illyan ne sarebbe rimasto estasiato. E forse perfino Galeni si sarebbe rallegrato un po’.

CAPITOLO QUINTO

Il giorno in cui il corriere tornò per la seconda volta dal QG, Miles si accampò nel corridoio fuori dall’ufficio del capitano Galeni. Dimostrando un grande autocontrollo, si astenne dal travolgere l’uomo sulla porta mentre usciva, lasciando che si allontanasse prima di tuffarsi dentro.

Davanti alla scrivania di Galeni si mise sull’attenti. «Signore?»

«Sì, sì, tenente, lo so» rispose il capitano in tono irritato, facendogli segno di aspettare, mentre videate di dati si succedevano sopra la sua videopiastra. Alla fine Galeni si appoggiò allo schienale corrugando la fronte…

«Signore?» sbottò di nuovo Miles in tono di urgenza.

Sempre con la fronte aggrottata, Galeni si alzò e gli fece cenno di sedersi al suo posto. «Guardi lei stesso.»

Miles fece scorrere i dati due volte. «Signore… non c’è niente, qui.»

«Me ne sono accorto.»

«Nessuna nota di credito… niente ordini… spiegazioni… niente di niente» esclamò Miles voltandosi verso di lui. «Nessun riferimento ai miei affari. Siamo rimasti qui ad aspettare venti giorni, dissanguandoci, per niente. In tutto questo tempo avremmo potuto andare su Tau Ceti e tornare indietro. Questa è una follia. È impossibile.»

Galeni appoggiò la mano aperta sul tavolo e si sporse in avanti con espressione pensosa, fissando la videopiastra silenziosa. «Impossibile, dice? No. Ho già visto altre volte ordini scomparire. Pasticci burocratici: dati importanti spediti all’indirizzo sbagliato; richieste urgenti messe da parte in attesa che qualcuno tornasse dalla licenza. Questo genere di cose succedono.»

«A me non succedono» borbottò Miles a denti stretti.

Galeni sollevò un sopracciglio. «Lei è un arrogante piccolo nobile Vor.» Si raddrizzò e proseguì: «Ma ho il sospetto che stia dicendo la verità: questo genere di cose non dovrebbero accadere a lei; a chiunque altro, sì, ma non a lei. Naturalmente» e sorrise, «c’è una prima volta per tutto.»

«Questa è la seconda volta» gli fece notare Miles, fissandolo con uno sguardo sospettoso, mentre le accuse più pazze gli bruciavano sulla punta della lingua. Che fosse quella l’idea che un borghese komarrano aveva di uno scherzo? Se gli ordini e la nota di credito non c’erano, qualcuno doveva averli intercettati… a meno che le richieste non fossero mai state inviate: aveva solo la parola di Galeni, per quello. Ma era inconcepibile che Galeni rischiasse la sua carriera solo per fare un dispetto ad un subordinato irritante. Anche se, Miles lo sapeva bene, la paga di un capitano barrayarano non era poi una gran cosa.

Neanche da paragonare con diciotto milioni di marchi.

Miles spalancò gli occhi e strinse i denti. Era però concepibile che un uomo povero, un uomo la cui famiglia aveva perso tutto, magari durante la conquista di Komarr, trovasse molto invitanti diciotto milioni di marchi. Non era questa l’impressione che gli aveva dato Galeni, ma, dopo tutto, cosa ne sapeva veramente Miles di quell’uomo? In quei venti giorni di convivenza, Galeni non aveva detto una sola parola della sua storia personale.

«E adesso cosa facciamo, signore?» sbottò rigido Miles.

«Rinvieremo le richieste» rispose Galeni allargando le braccia.

«Reinvieremo? Nient’altro?»

«Non posso tirare fuori diciotto milioni di marchi dalle mie tasche, tenente.»

Ah no? Be’, questo è da vedere… Doveva andarsene di lì, uscire dall’ambasciata e tornare dai dendarii, dove il suo esperto personale nella raccolta delle informazioni era stato lasciato a raccogliere polvere, mentre lui aveva sprecato venti giorni nella paralisi… Se davvero Galeni si era preso gioco di lui fino a quel punto, giurò Miles tra sé, non c’era buco abbastanza profondo in cui potesse nascondersi insieme ai suoi diciotto milioni di marchi rubati.

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