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Frank si alzò in piedi. Uno degli altri poliziotti gli si avvicinò. «L'assalitore si chiama Donald Jensen, secondo i documenti. Ho fatto controllare; ha qualche precedente — soprattutto per disturbo della quiete pubblica.»

Frank guardò l'uomo, che ora era in piedi ammanettato, con le mani dietro la schiena. Aveva i lineamenti marcati, i capelli corti e biondi, e indossava una giacca con le toppe sui gomiti. Il lato sinistro del viso si era malamente graffiato quando i poliziotti lo avevano costretto a terra. Aveva dei grandi occhi blu. «Morte a tutti i demoni!» gridò.

L'ambulanza frenò, e ne scesero due uomini robusti. Aprirono immediatamente le porte posteriori e portarono una barella fino ad Hask.

Appena dietro l'ambulanza arrivarono le macchine che portavano gli altri Tosok. Gli sportelli si spalancarono, e i sei alieni arrivarono di corsa, con dei passi giganti. A seguirli, molto indietro, c'erano i poliziotti che dovevano far loro da scorta.

Frank sembrava aspettarsi un linciaggio. «Portatelo via di qui» ordinò ai poliziotti indicando l'uomo biondo. «Portatelo subito via.»

I poliziotti annuirono e spinsero l'assalitore in una macchina. Nel frattempo i due portantini avevano messo l'alieno sulla barella e lo stavano sollevando da terra.

Arrivarono i Tosok. La respirazione attraverso gli orifizi sembrava affannata, e allontanarono tutti le braccia dal corpo, forse per far disperdere il calore. Kelkad e Stant si avvicinarono immediatamente ad Hask e iniziarono a guardare la ferita. Parlarono tra di loro, poi il traduttore di Stant disse: «Non c'è tempo sufficiente per portarlo sull'astronave. I vostri germi non sono un problema per noi, perciò non abbiamo bisogno di un posto particolarmente sterile per lavorare. Ma avremo bisogno di strumenti chirurgici.»

«Lo stiamo portando al Centro medico universitario della Contea di Los Angeles» disse uno degli infermieri. «È un grande ospedale; lì avranno tutto quello che vi serve.»

«Vengo con voi» disse Frank.

Sistemarono il corpo dell'alieno nel retro dell'ambulanza, dove entrarono anche Kelkad e uno degli infermieri. L'altro andò al volante e Frank vicino a lui, nel posto del passeggero. L'ambulanza partì, scortata da una macchina della polizia che portava anche Stant.

«Frank» disse la voce di Kelkad, dal retro dell'ambulanza. Frank si voltò indietro. «Chi è il responsabile, Frank?»

«Lo abbiamo preso» disse Frank. «Mi è sembrato un fanatico religioso. Non preoccuparti, Kelkad. Pagherà per i suoi crimini.»

«Sparare a uno dei nostri potrebbe essere interpretato come un atto di guerra» disse Kelkad.

«Lo so, lo so. Credimi, avrete tutte le scuse possibili, e ti prometto che l'uomo verrà punito.»

«Un fanatico, hai detto?»

«Chiamava Hask demonio — un diavolo, una creatura soprannaturale.»

«Allora il suo avvocato tenterà la difesa dell'infermità mentale.»

I freni dell'ambulanza gracchiarono quando l'autista fece una curva stretta. Frank alzò le spalle. «È possibile.»

«Fate in modo che la mia fiducia in questa cosa che voi chiamate giustizia non sia tradita.»

Proseguirono verso l'ospedale, a sirene spiegate.

27

Frank e Kelkad scesero dall'ambulanza all'accettazione del pronto soccorso. «Di tutto l'equipaggio, la scelta migliore per eseguire l'intervento è Stant, il nostro biochimico.»

Stant era giunto al centro medico in una delle auto della polizia pochi secondi dopo l'arrivo dell'ambulanza. Si stava ancora stropicciando il braccio posteriore, che gli era rimasto schiacciato sul sedile non modificato della macchina, ma il cíuffo si muoveva in avanti in segno di assenso. «Posso fare l'operazione,» disse «ma avrò bisogno di un umano che mi assista — non tanto nelle procedure, quanto nell'attrezzatura.» Guardò la grande folla di medici e infermieri che si era radunata nella sala del pronto soccorso, insieme ai pazienti in gran parte sudamericani e poveri che aspettavano le cure. «C'è qualcuno che vuole aiutarmi?»

«Sì, certamente» disse un nero sulla cinquantina.

«Ne sarei lieto» disse un bianco sui quaranta.

Una terza persona si schiarì la gola. «Mi spiace, ragazzi — il grado dà dei privilegi. Sono Carla Hernandez, chirurgo primario.» Guardò Stant. «Sarei onorata di assisterla.» Hernandez era intorno ai quarantacinque anni, e aveva i capelli grigi raccolti.

«Molto bene. Mettiamoci al lavoro. Avete degli apparecchi per vedere dentro il corpo?»

«Raggi X. Ultrasuoni.»

«I raggi X vanno bene. Dobbiamo vedere a che profondità è il proiettile.»

Hernandez annuì. «Porterò Hask giù in radiologia, poi lo preparo per l'intervento.» Si rivolse al nero che si era offerto volontario pochi istanti prima. «Paul, porta Stant a selezionare gli strumenti chirurgici di cui ha bisogno…»

L'intervento fu veloce. Stant era evidentemente un chirurgo esperto — così esperto che a Frank, guardandolo dalla sala di osservazione, in alto, venne in mente che sarebbe stato ben capace di sezionare Calhoun.

Nonostante l'incisione profonda, c'era poco sangue. Gli altri medici che con Frank stavano guardando sembravano divertiti dal modo in cui Stant operava: teneva il raggio X sugli occhi che aveva dietro con la mano posteriore, usando il bisturi con quella anteriore. Ci vollero circa otto minuti per completare l'estrazione del proiettile; Stant lo tirò fuori con le tenaglie e lo lasciò cadere in un contenitore di acciaio che Hernandez teneva.

«Come chiudete le ferite?» chiese Stant. Frank aveva difficoltà a capire la voce tradotta attraverso il fruscio degli altoparlanti nella galleria di osservazione.

«Con la sutura» disse Hernandez. «Le cuciamo.»

Stant rimase per un attimo in silenzio, forse colpito dalla barbarie della cosa. «Oh» disse alla fine. «Allora può farlo.» Si fece da parte e Hernandez chiuse perfettamente la ferita in circa due minuti.

«Quando riprenderà coscienza?» disse Hernandez.

«Avete dell'acido acetico?»

«Intende dell'aceto? Forse a mensa.»

«Lo faccia portare. Una piccola quantità per bocca dovrebbe svegliarlo.» Stant guardò Hernandez. «Grazie per il suo aiuto.»

«È stato un onore» disse Hernandez.

Il giorno dopo Hask stava ancora recuperando, e quindi non ci fu nessuna udienza; l'imputato doveva essere presente a tutte le testimonianze. Però Dale e Linda Ziegler iniziarono la giornata nell'ufficio privato del giudice Pringle. «Vostro Onore,» disse Ziegler «l'Accusa vorrebbe chiedere l'annullamento del processo.»

Ovviamente il giudice Pringle se lo aspettava. Annuì, e cominciò a scrivere. «Su che base?»

«Sulla base del fatto che, non essendo isolata, la giuria sarà sicuramente venuta a conoscenza dell'attentato alla vita dell'imputato.»

Dale parlò con fermezza. «Vostro Onore, la Difesa è soddisfatta dell'attuale giuria. Ci opponiamo con forza all'idea di gettare dalla finestra così tanti mesi di lavoro — e così tante migliaia di dollari dei contribuenti.»

La voce di Ziegler aveva un tono serio. «Vostro Onore, sicuramente il fatto di vedere l'imputato che barcolla tutto fasciato in aula genererebbe nei giurati dei sentimenti di inopportuna commiserazione nei suoi confronti, che potrebbero influenzare il verdetto.»

Il giudice Pringle inarcò le sopracciglia. «Non credo che troverà altre dodici persone che non abbiano saputo dell'attentato ad Hask, avvocato Ziegler.»

«Inoltre,» disse Dale «sicuramente il fatto di sapere che almeno una persona era così convinta che Hask fosse il male, avrebbe un effetto pregiudizievole contro il mio cliente.»

«Vostro Onore, se l'avvocato pensasse questo dovrebbe chiedere anche lui l'annullamento del processo» disse Ziegler seccamente. «Il motivo per cui non lo fa è ovvio: il fanatico, questo Jensen, capiva chiaramente che Hask sarebbe stato liberato, altrimenti non si sarebbe preoccupato di ucciderlo. Il suo atto è un chiaro segnale alla giuria dell'opinione comune.»

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